a cura di: Marco Forti

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9. karate no shugyo wa issho de aru
(il karate si pratica tutta la vita)

Non c'è punto di arrivo a marcare il termine dell'allenamento nel Karate, c'è sempre un livello successivo. Per questa ragione i praticanti dovrebbero continuare l'allenamento per tutta la vita.
La vera Via dell'allenamento è una strada senza fine. Aver studiato tutti i kata e le tecniche di parata non costituisce vero allenamento senza il continuo sforzo per migliorarle.
Un brano del famoso Hagakure sottolinea quanto affermato:
«In un racconto su un anziano maestro di spada si parla degli stadi dell'allenamento di una vita.
Al livello più basso, sebbene ci si alleni, non ci sono risultati positivi e si tende a non stimare sé stessi né gli altri. In questa fase non si è di aiuto a nessuno.
Nello stadio intermedio, sebbene non si sia ancora di aiuto, ci si rende conto delle proprie imperfezioni e si riconoscono gli errori degli altri.
Nello stadio elevato si ha consapevolezza delle proprie capacità e ci si sente orgogliosi quando si raggiungono i risultati prefissati, si elogiano gli altri quando riescono e ci si sente dispiaciuti quando sbagliano. Si ha un'alta stima per gli altri. Per la maggior parte delle persone questo rappresenta il livello finale.
Ma se si prosegue verso il livello successivo, molto più elevato, si incontra una Via superiore. Se si decide di seguire questa Via ci si rende finalmente conto che non c'è fine. Tutte le considerazioni sull'essere arrivati molto avanti svaniscono e appaiono ai nostri occhi tutte le nostre imperfezioni. Si vive senza brama per i successi terreni né si sente la necessità di apparire umili.
Yagyu disse che non conosceva il modo per sconfiggere gli altri ma conosceva il modo per vincere se stesso - consiste nel cercare oggi di essere migliore di ieri e domani ancora migliore di oggi - lavorando in questo modo ogni giorno, per tutta la vita.»
Seguire questa strada senza fine, cercando ogni giorno di essere migliore del precedente, per tutta la vita, è la vera rappresentazione della Via del Karate.

fine decima parte ....

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giovedì 24 settembre 2009

a cura di: Marco Forti

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8. dojo nomino karate to omou na
(il karate si vive anche fuori dal dojo)

Il vero scopo del Karate do è migliorare e nutrire la mente e il corpo. Coltivare il proprio spirito e la propria attitudine mentale inizia con la pratica nel dojo (luogo di allenamento) e non deve terminare con la fine degli esercizi fisici e mentali. In realtà deve continuare fuori dal dojo, nel corso della nostre attività quotidiane.
Al contrario, gli effetti del mangiare e bere in eccesso e delle altre abitudini nocive alla salute che si seguono fuori dal dojo, si ripercuotono inevitabilmente sulla nostra pratica affaticando corpo e mente e rendendo impossibile il raggiungimento dell'obiettivo prefissato.
Sia all'interno che all'esterno del dojo, i praticanti di Karate do devono sempre ambire allo sviluppo e all'allenamento del corpo e della mente.

fine nona parte ....

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mercoledì 16 settembre 2009

a cura di: Marco Forti

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7. wazawai wa getai ni shozu
(le calamità derivano dalla negligenza)

Questo ammonimento può essere applicato a molti aspetti della vita. Il novantanove per cento degli incidenti stradali sono riconducibili a negligenza.
Al lavoro un po' di sonnolenza può compromettere importanti ricerche provocando risultati inattendibili o addirittura l'incapacità di produrre risultati.
Lo stesso vale in guerra, sia in uno scontro tra diverse armate che nel caso di combattimento individuale. Una preparazione negligente porta al disastro.
Per evitare che i nostri sforzi vengano vanificati dobbiamo esaminare costantemente le nostre azioni ed essere cauti sul metodo, mantenendo sempre viva la consapevolezza che "le calamità derivano dalla negligenza".

fine ottava parte ....

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giovedì 10 settembre 2009

a cura di: Marco Forti

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6. kokoro wa hanatan koto wo yosu
(sii sempre pronto ad aprire la tua mente)

Un filosofo cinese dell'undicesimo secolo, Shao Yung, scrisse: «È necessario perdere la mente per poterla liberare».
Per comprendere meglio questo principio seguiamone l'interpretazione offerta dal Maestro Zen Takuan nella sua opera "La saggezza inamovibile" dove utilizza i principi dello Zen per spiegare i principi dell'Arte della spada al Maestro di spada Yagyu Munenori:

C'è una frase che afferma "cercare la mente dispersa" ma anche un detto, "è essenziale perdere (liberare) la mente".
Il filosofo confuciano Meng Tzu (Mencio) parla della ricerca della mente "persa", della ricerca della mente smarrita per riportarla al sé.
Meng Tzu osserva che nel caso perdessimo un cane, un gatto o un pollo, ci daremmo molto da fare per cercarli e riportarli a casa. Ritiene pertanto oltraggioso non prodigarsi in nessuno sforzo per riportare al sé la mente, che è la guida del corpo, quando questa si "perde".
Al contrario Shao Yung afferma che la mente deve perdersi! Shao Yung scrive: «se si lega la mente come un gatto a una corda, perderà la sua libertà di movimento. Bisogna usare bene la propria mente, lasciarla libera di vagare dove vuole ma senza che essa subisca un attaccamento alle cose o ne venga intrappolata."
I principianti spesso esercitano un controllo eccessivo su sé stessi. Non si fidano dell'idea di lasciare libera la mente.
Ma alla mente deve essere permesso di muoversi liberamente, anche se indugia in recessi fangosi. Il fiore di loto non viene sporcato dalla melma in cui cresce. Nello stesso modo una lucida sfera di cristallo lasciata nel fango è impermeabile alla macchia.
Mantenere la mente entro stretti confini può essere una necessità per il principiante ma comportarsi in questo modo per tutta la vita non ci consente di raggiungere alti livelli e di sfruttare il nostro vero potenziale.
In conclusione quando ci alleniamo, è meglio seguire gli insegnamenti di Meng Tzu nelle prime fasi e solo in seguito permetteremo alla mente la libertà di movimento seguendo la via indicata da Shao Yung.

fine settima parte ....

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sabato 5 settembre 2009

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